(cont.) Petrocchi, sindaco a venticinque anni agli albori della Repubblica, dal ‘46 al 52, di un glorioso comune a nord di Roma, e poi consigliere comunale per oltre trent’anni sempre nella sua Palombara Sabina, che lo elegge per quattro legislature consecutive, dal 71, all’ ‘85, consigliere provinciale, è l’espressione di una dedizione spezzata da una tragica fatalità in una sera di un lunedì di agosto dell’ ‘85 sull’autostrada del Sole nei pressi di Orvieto. Egli viene strappato alla vita al culmine della sua maturità, che è l’età dove la saggezza, come dicevano i greci dell’età classica, è “baciata dagli dei”.
In questa raccolta di documenti e testimonianze, curata dal Comprensorio Sabino dell’Endas, a due anni dalla scomparsa, c’è non solo il racconto d una biografia, ma quasi lo specchio di una “piccola Italia” in cui si riflettono quarant’anni di attività amministrativa, svolta con lo zelo di chi crede che la democrazia si costruisce dal basso con l’impegno quotidiano sulle piccole cose: in questo senso va letta la risposta che il sottosegretario alla Pubblica Istruzione dà al giovane sindaco di Palombara, il 23 gennaio ‘47, circa la concessione di un sussidio per l’istituzione della biblioteca comunale.
Colpisce nella rassegna dei documenti l’intestazione di una lettera dl 21 maggio ‘47 spedita dall’Assemblea costituente; si tratta di un foglio dove le parole “Assemblea costituente”, sono sovrapposte alla cancellatura della vecchia dicitura di “Camera dei fasci e delle corporazioni”: simbolo di una parsimonia e di una povertà che ci dicono del grande distacco, anche di mentalità, fra l’Italia di oggi e quella di allora. Uno stile che ho riscontrato solo alla Knesset israeliana, dove i bloch notes sono ricavati dalla cara riciclata.
Sono anni in cui Adriano Petrocchi coniuga il suo impegno di amministratore con l’insediamento del partito repubblicano nella provincia di Roma: ed ecco i primi convegni organizzativi intercomunali di Velletri, Gallicano, Mentana, Civitavecchia. “C’è in questa azione” – scrive Petrocchi in un resoconto sulla “Voce Repubblicana” – lo stesso “entusiasmo che ci portò alla vittoriosa battaglia per la Repubblica. C’è la consapevolezza, in tutti noi, di operare in stretta collaborazione con gli amici che si battono, ovunque, in sede locale, per la diffusione l’affermazione degli ideali mazziniani”.
Ed è alla lezione di Mazzini che egli si richiama nell’ultima lettera agli elettori, nel maggio ‘85, quando afferma che “il diritto è la somma dei doveri compiuti”. In questa lettera Petrocchi dice di essere un “assessore scomodo” perché nella gestione della cosa pubblica ha dovuto dire pochi “si” e moltissimi “no”: un comportamento che egli identificava tout-court con la linea repubblicana in fatto di amministrazione locale, improntata alla “chiarezza negli appalti” e all’“uso corretto del denaro di tutti”. Uno stile che è il fiore all’occhiello di una lunga tradizione amministrativa, tradotta in quel documento di Milano sulla trasparenza che costituisce per chi è chiamato a svolgere pubbliche funzioni un obbligo morale.
Ecco perché nel ricordo di Adriano Petrocchi la memoria ha l’intensità di un gesto che trasmette comportamenti lontani. Cos’è una “famiglia politica” se non una sintesi di memorie vissute, forz’anche in modo problematico, sullo sfondo di una coerenza e di una continuità? Una “famiglia politica”, direbbe uno storico francese della nouvelle école, Pierre Nora, è il luogo dove si trasmettono “i saperi del silenzio”, e dove la memoria, divenuta comportamento, si è fatta storia. Ecco perché il bisogno di memoria è bisogno di storia.
Una “famiglia politica” ricompone i frammenti del proprio passato nell’intimità di una memoria che diventa storia: ossia, storia come processo mentale, dove un documento, una lettera, la testimonianza di una proprio militante sono parte di un lontano patrimonio collettivo.
Una cosa molta diversa da quello che può essere un archivio o una raccolta di schede o da quello che Ranke, riferendosi alla fedeltà storica, definiva con la celebre formula di “ciò che è realmente avvenuto”.
Un’eredità collettiva è per una “famiglia politica” quello che le generazioni hanno misteriosamente costruito attorno ai racconti del focolare. È un’eredità che si si riassume nell’emozione che sveglia un vecchio ricordo o un certo interesse. Un partito politico è, perciò, soprattutto, storia di una mentalità tessuta sulla trama di una scala di valori: i valori per cui la politica, come diceva Mario Pannunzio, non è mai una prenotazione per le trattorie dell’avvenire.
Giovanni Spadolini
Presidente del Senato
Prefazione del volume “ADRIANO PETROCCHI
1946/1985 – documenti e testimonianze”